i miei pensieri, nell'etere
venerdì 31 ottobre 2008
Il piacere
Ho pensato che dovevo scrivere. Ma non ho pensato che dovevo scrivere in quanto dovevo. Ho pensato che dovevo scrivere in quanto volevo. In quanto voglio. E, senza ombra di dubbio, in quanto vorrò.
Ho pensato che dovevo mettere vicine l'una all'altra le lettere; vicine, l'una all'altra. Fino a farle sospirare insieme, le une sulle altre, fino a farle incuriosire e far loro propendere il capo su quelle dietro, o su quelle davanti. Ho pensato di metterle tanto vicine da far venir loro voglia di baciarsi. E di sfiorarsi, fino a toccarsi. Senza scrupoli e senza false timidezze. Ho pensato che sarebbero state meglio tutte insieme; che, andando a creare le parole, si sarebbero sentite meno sole. Qualcuna di loro avrebbe potuto trovare anche la propria anima gemella. Ho pensato questo.
Chissà? Forse ho creduto che, scrivendo, mi sarei sentita meglio anche io. Ma poche parole non bastano. O meglio, non bastano, sempre. Così mi sono spinta oltre.
Ho fatto loro distogliere l'attenzione mettendo vicino altre parole. Ho fatto loro respirare la stessa riga, e poi la stessa pagina. E loro hanno iniziato a chiedersi chi fossero le altre e cosa ci facessero lì. Non è dovuto trascorrere molto tempo affinchè socializzassero. Si sono piaciute. Quasi da subito. Tanto che non han provato alcun tipo di vergogna nell'esporsi, nel farsi vedere nude... La spontaneità non conosce vestiti.
E, quel che presumibilmente sarebbe stato invitabile, è successo. Alla fine è successo. Gli sguardi, e gli ammiccamenti, e talvolta gli iniviti espliciti hanno trovato conclusione (o inizio, come lo si preferisce pensare). E, con un fare così naturale che nemmeno gli esseri umani, a volte, sono in grado di attuare, si sono messe a fare l'amore. Proprio così. Lettere, e parole, e poi frasi e poi forse pagine, si sono messe a fare l'amore le une con le altre. Per un tempo illimitato. Così illimitato che, il prossimo momento che si deciderà di andarle a cercare, qualsiasi momento, le si troverà ancora lì, ad amoreggiare. Insieme. Ancora. Di nuovo. Come fosse la prima volta. Come fosse l'infinitesima. Un amplesso che non trova mai fine.
Per quale ragione, poi, dovrebbe trovarlo? E' così piacevole. Per loro che lo compongono (che si fanno comporre). Per chi ipoteticamente leggerà (ma non è scontato che siano previsti dei lettori). Di sicuro, per chi scrive. Per chi scrive perché deve farlo. Ma non perché deve in quanto dove.
Bensì perché deve in quanto vuole. E perché il volere corrisponde al piacere. Senza ombra di dubbio.


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giovedì 30 ottobre 2008
L'effetto
Ho una cosa seria da fare . Una sola cosa seria e importante. Ma mi prendo un po' di tempo. La tensione accumulata all'altezza delle spalle ed il vento mi chiedono un momento. Un solo momento. Ed io glielo concedo. Chissà se ha un peso, il vento?
L'eco di una canzone in blu rimbomba all'interno del mio bagno. Le foglie che si muovono, fuori, con il lucicchio di un sole opaco e lontano creano una melodia silenziosa (al di qua del vetro non la si può sentire!). La immagino. Ma la musica dal vivo ha tutto un altro sapore.
Più tempo passo in casa, più non mi viene da uscire; e più mi lamento che non c'è mai da andare. Eppure i luoghi, e le passeggiate, e i tramonti, e gli odori di questa stagione sono tutti nella mia testa. Ed è proprio qui che ora mi trovo in riva ad un fiume, appoggiata ad un muretto, a guardare giù. A guardare piano. A guardare sola o con chiunque altro, ma a guardare. A sorbire con gli occhi l'odore del vento e il freddo delle cose. Il freddo. Chissà se ha un peso, il freddo, oltre quello dei giubbotti che ingobrano la nostra pelle indifesa?
Il freddo, i tramonti d'inverno e il vento. Mi risollevo da questo principio di autunno pensando a loro. E pensando a quando non serve null'altro se non quella particolare sensazione; pensando a quando non serve tanto.
Un solo momento. E' quasi finito. E forse sì, for
se il vento ha un peso. Un peso indefinibile e immateriale che si manifesta tramite un mal di testa. L'unico modo che ha per far accorgere della sua presenza.
Oggi mi concentro sul vento. Anche se sono dentro. Il vento. Invisibile. Se non per l'effetto che ha sulle cose. Che strano. Che non lo si possa palpare, né vedere, se non per l'ondeggiare che, dove passa, produce.


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mercoledì 29 ottobre 2008
Io non ho votato per questi qua
 
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Progetti per il futuro
Materno, paterno, fraterno, filiale, amicale o romantico. Non si può mai sapere cosa riservi. Non si può mai sapere cosa riservi l'amore.
Mai sottovalutare. Le conseguenze dell'amore.




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martedì 28 ottobre 2008
The last goodbye
Me l'hanno portata via così, di mattina presto, citofonando due volte per avvertire di quello che stava accadendo, mentre io ero ancora sotto le coperte e non avevo (o non ho voluto avere) la coscienza di capire cosa stava succedendo.
Me l'hanno portata via dopo anni e anni che stava qui, al piano terra. E forse non ho voluto essere consapevole apposta, forse non ho vouto salutarla per l'ultima volta proprio per separarmi da lei nella maniera meno triste possibile. E' stata come se l'avessi salutata una settimana fa, quando l'ho accompagnata dentro, e l'ho lasciata al caldo, a riposare.
Era vecchia e stanca, soprattutto ultimamente. Non camminava più bene come una volta. Ma è sempre stata con me nei momenti in cui avevo bisogno. Mi ha sempre accompagnato al lavoro, aspettando buona fuori che io finissi il mio turno. E lo stesso ha fatto le volte in cui dovevo correre in stazione a prendere un treno, incitandomi per fare in fretta e facendo il possibile affinché io riuscissi ad arrivare in tempo. Qualche volta è venuta con me anche il venerdì o il sabato sera, quando si esce nella speranza di andare a divertirsi un po'.
E poi l'età fa il suo corso. E quello che accade a tutti, prima o poi, è accaduto anche a lei. Un giorno si è fermata, mentre era per strada con mia mamma. E' stato difficile far sì che si riprendesse in modo da arrivare almeno fino a casa. Ma poi, fin lì, ce l'ha fatta. Ed è stato allora che abbiamo deciso di lasciarla tranquilla. I suoi ultimi giorni qui con noi li ha trascorsi dormendo. Ma se l'è meritato. Se l'è meritato eccome, di rimanere a dormire al riparo dal mondo, senza doversi più sforzare di fare nulla.
E così oggi la porteranno da qualche parte, da cui forse andrà a finire da qualche altra parte ancora. E a me ora viene in mente che con lei ho imparato a guidare. E che la sicurezza che avevo quando mi portava in giro non l'ho avuta con nessun'altra.
E così la mia macchinina se ne va dal mio garage. Dopo unidici anni. Ed io non so quanto ci si possa affezionare a della materia che altro non è se non solo ed esclusivamente materia. Ma forse non ci si affeziona a lei in quanto tale, ma a quello che siamo stati noi le volte in cui lei ci stava, in qualche modo, sopra, sotto e tutto intorno.
Così questo è il mio saluto per te, macchinina. E per quella prima volta che io, seduta al volante con nessuno al mio fianco e nessuno a fare da passeggero dietro, ho ingranato la quinta, per la prima volta. E non ho potuto fare altro che sorridere.



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sabato 25 ottobre 2008
Ai vostri ordini
Che cazzo di giorno è, oggi?
E' domenica? No, è un fottutissimo sabato che sembra una domenica del cazzo. Proprio così.
Lo scazzo e la tristezza hanno scambiato il mio corpo e la mia testa per un trono, ci si sono seduti sopra, ed ora stan lì, con uno scettro in mano e una corona in testa; a impartire ordini.
Hanno fatto ritirare l'allegria e la spensieratezza con la coda tra le gambe. Le hanno fatte strisciare sul pavimento e hanno loro imposto di tenere la testa bassa.
"Ma oggi è sabato..." hanno provato ad avanzare le due poverette, "La nostra libera uscita?!".
"Vi piacerebbe, eh?" hanno risposto sadici i regnanti. E sono rimasti lì, a guardarle un po' sofferenti, in silenzio. Finché Allegria, presa da uno sprazzo di euforia, non ci ha riprovato.
"Solo per qualche ora! Usciamo solo per qualche ora, ma non ci divertiremo troppo. Penseremo a Voi, Re Scazzo e Regina Tristezza, tutto il tempo!".
Spensieratezza non ha aggiunto altro, avendo già la testa altrove...
Sua Maestà la Regina e Sua Maestà il Re si sono scambiati reciproci sguardi. Re Scazzo, decisamente troppo scazzato per opporsi, ha continuato a tacere. Regina Tristezza, quasi in lacrime, ha fatto un cenno con la mano; un cenno a metà tra l'"Andate pure" e il "Pussa via!".
Spensieratezza e Allegria non se lo sono fatte ripetere due volte. Hanno preso in direzione della porta, e sono uscite.
"Credi che al nostro ritorno li troveremo ancora svegli?" ha chiesto Allegria, indirizzata a Spensieratezza. "Come, scusa?" ha domandato la seconda. Allegria ha sorriso e le ha ripetuto la domanda. La risposta data da Spensieratezza è stata tanto esaustiva quanto eloquente.
"Non lo so. Preferisco non pensarci".

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@NO NuKE
L'acustica non era ottima, a parer mio. Ed un concerto non è un concerto se non è par terre. Il primo anello permette di vedere discretamente il palco e di non sudare troppo. Ma se, a fine serata, non esco di lì che sono sudata marcia e con le gambe e i piedi e la schiena doloranti dai salti e dai balli e dal movimento continuo, non mi sento soddisfatta. No. L'atmosfera, in mezzo alla gente, è tutta un'altra cosa.
Il telefono ha iniziato a segnalarmi "batteria scarica" dopo appena due video girati. E così non ho tanti ricordi multimediali quanti ne avrei voluti. Almeno, non li ho adesso e non li ho qui. Perché dopo poco mi sono appropriata del cellulare di un mio amico ed ho fatto come se fosse stato il mio, girando video quasi ad ogni respiro dei gruppi che si sono alternati sul palco.
Premesso ciò...
... Bugo è un tipino niente male. La sua musica e la sua presenza sul palco, al primo impatto, (mi) piacciono. I Linea 77 sono sempre i Linea 77, e credo che alcune delle loro canzoni riescano a coinvolgere il pubblico come poche altre. In parecchie occasioni le loro urla sonore hanno fatto le veci delle mie urla cardiache. Gli Afterhorus hanno suonato parecchio, ed ho notato che Roby Dell'Era scivola (letteralmente) sul palco in una maniera che fa sorridere, ma che è seriamente ipnotica. Mi sono chiesta come faccia a muoversi così pur avendo una chitarra in mano. Niente "Riprende Berlino"; la volevo sentire dal vivo, cazzo. Ma poi è arrivata "Musa di nessuno", e la sua dolcezza ha allargato due labbra in un sorriso. E non è speciale, ma è per te. Ah... meglio una frase così che mille mazzi di rose rosse.
I Subsonica. I Subsonica?! Ecco, i Subsonica. I Subsonica - è inutile - sono da ballare. Non c'è niente da fare. I Subsonica sono da ballare. Il primo anello non è adatto a ballare. Ma, va beh, sono anche da ascoltare. E credo di potermi concedere il lusso di ascoltarli con attenzione... dopo circa cinque volte che li vedo in un anno... Ma l'attenzione fa notare ancor di più che Samuel ha dimenticato la memoria da qualche parte. Forse a casa, forse dietro le quinte... Ma, va beh, Samuel non è Samuel se non si scorda i testi delle *sue* canzoni. No?
Ho dimenticato qualcuno?! Ah, sì. Ma l'ho fatto apposta. Per lasciare come gran finale quello che in realtà ha dato inizio alla serata. Le Luci della Centrale Elettrica. E non c'è niente da fare. Questo ragazzo - la sua voce, le sue parole, le corde della sua chitarra - è una droga.
Spiacente (di nuovo) per la scarsa qualità del video. La musica, però. E' la musica- E, tra le sue canzoni, è quella che preferisco. Mi chiedo come si faccia. A non preferirla.



E la prossima volta io voglio stare lì. Non lì, dove si arriva a guardare anche dentro le narici del cantante. Non lì, dove il pogo selvaggio mette a serio rischio la vita propria e altrui. Nemmeno lì, dove le persone stanno tranquille con le braccia incrociate, ad ascoltare. No. Io la prossima volta voglio stare lì. Lì in fondo. Dove la calca si dirada. Ed ognugno si distacca un po' dal resto del mondo. E danza.

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venerdì 24 ottobre 2008
Una firma
 
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giovedì 23 ottobre 2008
Deux ex machina
Vorrei la sospensione dei pensieri. Vorrei la sospensione del giudizio. Vorrei il vuoto pneumatico nella mia testa. Vorrei il vuoto. Il vuoto.
Vorrei non aver visto il blu lampeggiare. Vorrei non sapere. Vorrei non ricordare. Vorrei non immaginare. Vorrei il volume più alto possibile. Vorrei infinite distrazioni. Vorrei chiamare tutti. E invece non chiamerò nessuno. Vorrei riuscire a fare quello che stasera non riuscirò. E quello che non sono riuscita fino a ieri. E che non riuscirò nemmeno da domani. Vorrei, vorrei, vorrei...
L'unica cosa che posso, invece, è stare seduta sulla tazza del cesso. Stare seduta lì, ancora, anche dopo aver finito la pipì. Stare lì e guardare il bianco e l'azzurro delle piastrelle. Il bianco. Che sembra riflettere. Invece, quello che fa è negare l'immagine, sfocandola. Negazione. Nego. Dovrei negare anch'io.
Rimango lì, seduta. Anche dopo aver finito la pipì. Sto lì e aspetto. Non è grave. Non deve esserlo. Non deve. Eppure ho un po' di paura. Un po'. (Spero che tu non l'abbia avuta. Spero che tu non ce l'abbia. Spero di venirti in mente).
Devo trovare un modo per fermare il batticuore. Adesso lo trovo. Adesso mi alzo, tiro su i jeans e lo trovo. Vorrei infinite distrazioni.
Adesso scrivo. Che magari mi passa. Adesso scrivo, che magari mi passa. Adesso scrivo, che magari...

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mercoledì 22 ottobre 2008
Torino non si legge, ma c'è (sempre)
L'euforia comincia a calare. Quell'euforia che arriva in seguito a qualche genere di soddisfazione e che mi fa diventare iperattiva; se non materialmente (ma a volte succede anche quello), almeno intellettivamente.
L'euforia cala, sì. Ma sarà dovuto anche al fatto che ormai sono le undici di sera, e la sveglia è suonata presto, stamattina - alle sei.
Se l'euforia cala, però, vuol dire anche che l'euforia c'è. Perchè è stata una giornata niente male. Affatto.

A volte i libri che si leggono possono essere oggetto di discussione. Mi piace parlare di libri. Almeno tanto quanto mi piace leggerli. Non sempre si ha la fortuna di essere circondati da persone appassionate dagli stessi diletti, però. Eppure stamattina ero lì, sul treno, che leggevo il mio libro nuovo. Gomorra, di Roberto Saviano. Le quattro ragazze che sono salite la fermata dopo la mia e che mi si sono sedute accanto, oltre il corridoio, hanno riconosciuto la foto sulla quarta di copertina (chi non la riconoscerebbe, d'altronde?), e si sono messe a chiacchierare tra loro del libro, del "vorrei leggerlo, ma se lo leggo non studio più... poi è lungo, ci vuole del tempo...". Mah, io ho iniziato a leggerlo ieri e sono a pagina 89. Quando un libro piace, e subito, lo si divora. Hanno chiacchierato un po' di questo, le ragazze, e poi sono ritornate alle loro discussioni; mantenendo un tono di voce anche un po' troppo frenetico ed elevato, per i miei gusti. Quando leggo, non pretendo tanto, ma quel po' di quiete che mi permetta di mantenere la concentrazione...

Invece, la signora di fronte a me ha attaccato bottone con una scusa qualunque, e poi ne ha approfittato per chiedermi del libro. Per dirmi che anche lei lo ha letto, e ci siamo messe a parlarne, così; proprio come piace a me. Dopo poco mi ha concesso di riprendere la mia lettura, ma dopo un altro po' ci siamo rimesse a parlare. Dei libri, della riforma scolastica e della protesta, di università, di "... a Palazzo Nuovo si trova sempre posto per sedersi, a lezione?". No, signora; a Palazzo Nuovo non sempre si trova posto per sedersi, a lezione. Ma io, le lezioni, le ho finite. Ahimé. (Ne sento già la mancanza).
Mi fa piacere. Mi fa piacere, a volte (ma lo ammetto, non sempre) che qualcuno, sul treno, mi rivolga la parola; senza mantenere sempre quel distacco-rispetto-menefreghismo che si suole avere con gli estranei.
Ed è così che ho intrattenuto una piacievole conversazione su un libro, stamattina. Una soddisfacente conversazione.

A volte sono tesa quando devo fare qualcosa per l'università. Lo sono un po', inizialmente, quando devo fare le interviste per la mia tesi di laurea. Ho paura di non sapere/riuscire a gestirle. Ma poi filano lisce, di solito. Come quella che ho fatto stamattina. Una di quelle interviste in cui, io parlo, sì: faccio le domande e chiedo precisazioni; ma poi fa tutto l'altra persona. Mi porta dentro la sua vita e dentro i suoi pensieri. Si apre a me. Come forse a volte dovrei fare un po' di più anche io.
Mi piace, intervistare. Credo che mi piaccia. Poi schiaccio stop sul mio voice recorder. Ma non si smette di parlare. No. Si continua. Tranquillamente. Senza domande, questa volta. Ognuno dice la sua. Parla di sè. Semplicemente perchè se ne ha voglia. Si parla. Fino a ché ci si accorge che è l'una e mezza passata e che forse è il caso di pranzare. E poi porgo i miei saluti.
Una soddisfacente intervista. Ed un'altra soddisfacente chiacchierata. (Grazie, ragazze).

Non sempre la forza di volontà mi convince a fare le cose che dovrei fare. Oggi pomeriggio non mi andava molto di andare in biblioteca a cercare testi. Ma mi sono detta che, già che avevo pagato il biglietto del treno, dovevo approfittarne, e fare il mio dovere da studentessa fino in fondo. Anche a costo di tornare a casa tardi (e non nel primo pomeriggio come avevo previsto). E allora via, borsa e giubbino dentro l'armadietto prima dell'ingresso, e poi le porte della biblioteca si sono aperte automaticamente (si aprono così; non è che si siano aperte solo a me, come le acque al passaggio di Abramo...).
E poi dentro e fuori di lì incontro un po' di compagni che non vedevo da tempo. Le nostre discussioni vertono quasi (ma anche solo) esclusivamente sulla tesi, però lo fanno in un modo che è - cosa lo dico a fare, ormai? - soddisfacente; simpatico; divertente. Lo è, eccome.

E sono una serie di cose che mi rendono... leggera. Non ci vuole sempre un miracolo per farlo; non serve sempre un miracolo. Si può stare bene anche con semplicità. Dopo una giornata traquilla e carina. Che, tuttavia, rende euforici. Anche se l'euforia, ad una certa ora della sera e con il buio, comincia a calare...


(La foto, forse, non c'entra un cazzo. Ma è proprio perchè l'euforia è calata che non avevo voglia di cercarne una adeguata...).

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martedì 21 ottobre 2008
Sotto il cielo di altrove
Periferia. Troppo distante da tutto per raggiungere posti e persone. Abbastanza non vicina da rimanere isolati quando si cerca un piccolo angolo dietro cui nascondersi. O riposare.
Scoppiettio di corse adolescianziali su due ruote. Vuoti lontani rimpiazzati da palazzi residenziali. Strutture nuove, vecchi inquilini.
Spazi aperti di cemento percorsi a memoria; percorsi fino a ché loro sono rimasti identici, mentre chi li percorre ha dovuto adeguarsi all'andamento del tempo.
Luci silenti e visuale pulita. Amicizie che durano da una vita trovano soddisfazione tra i banchi di un supermercato semisconosciuto. Con il freno imposto dall'euro e dalla bilancia.
Ritorni in solitudine. Gli orari dell'autobus fanno compagnia ad una fermata temporaneamente abbandonata. Mentre, prima di passare dal fuori al dentro, si preparano i bidoni della spazzatura che daranno per primi il buongiorno a domani.
Storie da qui. Qui dove non c'è il rischio di correre il rischio. Nemmeno se lo si va a cercare.
Qui che è altro, ed è non, ed è diverso. E, fondalmentalmente, è tutto uguale.

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lunedì 20 ottobre 2008
Intermezzo poetico (?)
Hai visto? E' già arrivata la sera.
Era pomeriggio un secondo fa.

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domenica 19 ottobre 2008
Negrita docet
"che fatica nuotare
in un mare di noia
senza pinne e senz'aria
in un mare di noia"

(odio la domenica in questa città. i need an escape!)

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sabato 18 ottobre 2008
Foglie cadenti
Si sente, che è autunno. Ma non è tanto un sentire. Quanto un vedere. Si vede, che è autunno. Si vede dal giallo e dal rosso che cadono giù mentre cammino. E mi correggo nuovamente. Perchè quello che si vede, in effetti si sente, anche; quando, piano, tocca il suolo, e mi fa voltare la testa, quasi allarmata. E poi mi accorgo che era solo il verde che ha seguito il suo naturale percorso, ed è divenato giallo e rosso, andando a morire; giù.
Si vede; sì. Si vede dal buio che bussa alla porta già alle sette di sera. Ma pensavo che arrivasse più tardi, non ero pronta a ricevere ospiti in casa. Si vede dalle tapparelle che tiro giù appena la luce naturale esterna è obbligata ad essere sovrastata dalla luce artificiale interna. Tiro giù tutte le tapparelle, tranne una. Tranne una, che rimane la mia finestra sul mondo.
Anche se il mondo, fuori, non si vede più.


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venerdì 17 ottobre 2008
... to you
Cinquantadue anni fa, oggi, nacque colei che mi ha dato la vita. E che tuttora si occupa di quest'ultima, in maniera più che eccellente.
A discapito di tutte le volte in cui sono insopportabile, nervosa e ingiustamente collerica nei suoi confronti, voglio approfittare di questo giorno per fissare su questa pagina il mio "ti voglio bene" per lei.
Non glielo dico mai, e non potrà nemmeno venire a conoscenza di questo mio pensiero, dato che il mio blog rimane un segreto nei confronti di alcune persone, e dei parenti stretti, a maggior ragione. Ma volevo dirlo, scriverlo e ribadirlo su questo spazio, proprio per rifarmi di tutte quelle volte che il mio bene per lei non viene mostrato; ma che c'è. C'è, eccome.
Mi scuso ulteriormente per aver dichiarato la sua età (si sa che l'età di una donna, dopo una certa, non si dovrebbe svelare, mai...); ma l'ho dichiarata per sottolineare ancor di più il fatto che lei è semplicemente splendida, anche con il passare degli anni. Che lo è stata, sempre; ed è inutile dire che sempre lo sarà.
Quindi, mamma, io - con la piccola Gilda, ovvio - ti faccio tanti auguri per il tuo compleanno. Così, semplicemente.


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mercoledì 15 ottobre 2008
L'avvertire ottobre
Torino, oggi.

Torino oggi è stato Torino dopo un po' di tempo. Torino oggi è stata la sveglia non sentita - o proprio non suonata - e la fretta nel prepararsi per paura di perdere il treno, come non capitava da un po'; come capitava spesso, tempo fa.
Verso Torino, oggi, è stato non aver portato un romanzo da leggere in viaggio per non fare troppo peso in borsa, e trovarsi poi a comprare un fumetto e un quotidiano per passare il tempo. Verso Torino, oggi, è stato leggere su La Stampa di Roberto Saviano: di quello che rischia; della vita che fa; della presunta segnalazione di un collaboratore di giustizia che afferma che entro dicembre è previsto il suo omicidio. Verso Torino, oggi, è stato rimanere incredula davanti un articolo del genere; è stato provare dispiacere per un ragazzo di appena 28 anni che rischia la vita; che non può vedere i suoi cari e la sua ragazza; che quello che rischia, lo rischia per aver scritto. Per aver scritto.
Torino, oggi, è stato un milione di negozi in cui sarei voluta entrare e comprare, ma in cui non sono entrata, perchè bisogna stare attenti alle spese. Torino, oggi, è stato il rivolgere un pensiero silenzioso e assolutamente segreto a quella città. Ma non posso dire qui di cosa si tratti. Perché è un segreto tutto nostro.
Torino, oggi, è stato il batticuore provato dentro la biblioteca e dentro le librerie. E non so perchè mi accada. So solo che le librerie e le biblioteche mi fanno questo effetto. Aumentano il ritmo cardiaco. Forse è per la frenesia. O forse è per l'invidia. Di tutti quei libri. Non so.
Torino, oggi, è stato l'ascoltare gli studenti parlare di esami, e il vedere una lezione svolgersi per strada, anzichè in aula (beata protesta universitaria!). Torino, oggi, è stato il sorridere nostalgicamente nel sentire e vedere queste cose; nel sentirle e nel vedere così lontane da quando le vivevo quotidianamente...
Torino, oggi, è stato rivedere delle amiche che non vedevo da un po', trascorrere una pausa pranzo assolutamente normale, ma così straordinaria per la leggerezza che portava con sè. E' stato stare all'interno di una casa che ha sempre un sapore così... familiare, quando sono al suo interno. E' stato il ricordare un po' di momenti. Quanti momenti.
Torino, oggi, è stato il sentirmi relativamente contenta e relativamente insoddisfatta per il lavoro accademico svolto fino qui e fino ad ora. E' stato capire che la meta non è ancora vicina - non come vorrei - e che richiede forza di volontà, dedizione e metodo. E' stato capire che mi devo adoperare per acquisire mezzi che non sempre mi appartengono.
Torino, oggi, è stato un succo di frutta da Baratti&Milano. E' stato una punta di non spiacevole disagio per un'eleganza che ho percepito come al di sopra di quella per cui mi riterrei degna. E' stato una vetrina grande e larga attraverso la quale ammirare. Torino, oggi, è stato lo scrutare attraverso. Il campo visivo concesso dalla vista umana non è mai abbastanza. Per osservare quello che vorrei quando sono dentro Torino.
Di ritorno da Torino, oggi, è stato l'addormentarsi sul treno. E poi lo svegliarsi di scatto. Per l'aria fresca proveniente dal finestrino. O in prossimità di una fermata, non ricordo. E' stato il dispiacere per tornare indietro, e il piacere per l'arrivo in uno spazio che, per quanto poco amato, è sempre il più conosciuto; talvolta il più atteso. E' stato una canzone per radio, che intonava "vivo un equilibrio instabile". E il capire che io, al contrario, vivo un'instabilità equilibrata. E forse non c'è poi così tanta differenza, no?
Di ritorno da Torino, oggi, è stato l'avvertire ottobre nell'aria, nonstante l'anomalo caldo diurno. E' stato il pensare che vorrei leggere il mondo. E scrivere l'universo. Ma che devo aspettare. E' stato il respirare un'atmosfera che inodore non è. Ma che non è nemmeno odore. Che sa di così buono, dentro le narici e dentro il cuore. Ed è stato l'abbassare le tapparelle sulla fine di questa giornata. Che finita del tutto ancora non è. Ma almeno su questa pagina finisce. Altrimenti divento troppo romanticonica, e comincio a scrivere in rima...

.. complice questa musica.

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domenica 12 ottobre 2008
Qual è la prima cosa che ti viene in mente?
Niente. Può essere niente?
Mah, difficile che sia proprio niente niente, no?! A qualcosa si pensa sempre.
Non deve essere sempre qualcosa di importante o di... intelligente. Può essere anche solo un colore, o l'aria trasparente. Semplicemente. Ma a qualcosa, fondalmentalmente, si pensa sempre.
E' difficile definire il cosa, a volte; questo sì. I pensieri non stanno lì a darsi la precedenza e a vedere chi arriva da destra o chi ci deve andare. Passano, si incrociano... non fai in tempo a capire che forma abbia uno che già te ne transita un altro davanti agli occhi e il tutto diventa così... indefinibile, a parole.
Non so bene quale sia stata la prima cosa cui abbia pensato oggi. Non ricordo da che parte siano andati i miei occhi appena aperti stamattina. Però so a cosa sto pensando adesso. So dov'è andata la mia testa al suono di questa musica. Ed è andata in un posto in penombra, illuminato a intermittenza da luci colorate. E' andata in un posto dove il suono e l'atmosfera ti fanno stare bene; ti fanno ballare. E' andata in un posto in cui non c'è la preoccupazione del ballare bene o ballare male. Perchè, quando balli, i pensieri puoi metterli dove vuoi e puoi farne cosa vuoi. Quando balli - e non importa dove, non importa se a un concerto rock o in discoteca - puoi sfogare. Qualsiasi cosa. La puoi sfogare. E arrivi a un certo punto in cui chiudi gli occhi e ti lasci andare al movimento, e segui il suono. Segui solo il suono. E forse è lì che arrivi quasi a non pensare a nulla. Forse. Quasi.
Il primo pensiero che afferro adesso su questa strada ad alta percorrenza é: ci vorrebbe un posto così. Ci vorrebbe il ballo. Vorrei ballare. E saltare. E ridere insieme alle persone che ballano accanto a me. Alzare in alto le braccia. E muovere. Muovermi.
La conformità di questo mondo richiede spesso di tenere le braccia basse. Io invece vorrei tanto alzarle.



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giovedì 9 ottobre 2008
L'attesa
Passa davanti alla porta, non curante. Questo succede la prima volta. Perché la seconda volta il livello di attenzione è più alto, e fa sì che lui si fermi proprio lì; lì davanti.
Fermo immobile. Si può sentire solo il rumore del tempo che intercorre tra un respiro e l'altro. E' tutto fermo, tranne lo scorrere veloce dei suoi pensieri, che sono già giunti fino a lei; che sono sempre stati lì, con lei; si erano solo sopiti per un attimo.
Sparisce solo per pochi secondi. Torna con una sigaretta in bocca. La incendia. E sta fermo lì. E capisce che tutto quello che può fare è solo aspettare. Solo aspettarla. Le stelle non moriranno, oggi. Fino ad allora non moriranno.
Il silenzio, d'un tratto, viene rotto dal suo canticchiare imbarazzato. Anche quando è completamente solo, Mister U si sente in imabarazzo a cantare. Lasciando attendere la sigaretta fra le sue dita, stringe fra i denti quella canzone lontana. Quella canzone che li aveva fatti ballare, insieme. Che li aveva fatti saltare. Che li aveva fatti pensare, insieme. Striscia via quella canzone, e lo fa di lato, mischiandola con una risata che rivolge a se stesso. E poi ripoggia lo sguardo lì dove l'aveva lasciato poco fa, prima di distrarsi un poco cambiando solo l'ambientazione di quello cui stava pensando, ma mai il soggetto. Il soggetto è lei. E lei non cambia mai. Lei è Miss I.
Lascia lo sguardo lì. Fissando prima il tutto. La porta. Fissando poi la parte. La maniglia. E aspetta.
Le stelle non moriranno, oggi. Fino ad allora, non moriranno.


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posted by buИCiA at 14:38 | Permalink | 11 comments
mercoledì 8 ottobre 2008
Piccoli suicidi tra alter ego
Sarebbe stupendo affogare. E poi riemergere. Ogni volta che ci pare.
E il tutto rigorosamente in acqua calda.

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posted by buИCiA at 14:25 | Permalink | 18 comments
lunedì 6 ottobre 2008
Tutto intorno
Gli occhi si aprono alle 9 in punto in seguito al vibrare del cellulare sul comodino. Una risposta imminente richiede uno scatto dalla posizione coricata a quella seduta sul letto, e poi giù; piedi a terra, presa di coscienza del mondo e in piedi. 
Il ricordo dell'ultima volta in cui si era avuta la concessione di dormire fino a così "tardi" non arriva. Però arriva il ricordo sbiadito e al contempo nitido dei sogni fatti la notte precedente. Sogni strani. Sogni che a volte si vorrebbe appuntare nella realtà con carta e penna, perché sarebbero dei libri perfetti, se non fosse per il fatto che sono ancora da scrivere. Sogni di cui non si ricorda la fine o fine a cui un rumore avvertito alle 7 del mattino non ha permesso di giungere. Facce riviste dopo tanto tempo dentro i sogni, e che lì rimarrano. La notte sa essere molto strana, a volte.
Le 9 in punto. E sono le 9 del primo giorno di riposo dopo una settimana abbastanza densa di lavoro; anzi, di lavori. Il lavoro oggi non mancherà comunque, ma è un lavoro che consente il lusso di essere svolto in modalità e tempi piuttosto liberi, e all'interno di un luogo che più familiare di così non potrebbe essere. Se solo fuori ci fosse il sole, si riuscirebbe ad essere anche quasi contenti.
D'un tratto viene voglia di brioches. Alla crema. Ma lo stomaco è già stato riempito da sei biscotti secchi immersi all'interno di una tazza blu, resa calda da un'English breakfast tea che proprio ci voleva. Ultimamente ci vuole spesso. Ancora il tempo per riordinare i pensieri, o semplicemente per guardarli in faccia uno ad uno, e il tempo per dare un'occhiata ad alcune notizie on line, e poi si comincerà (davvero) la giornata.
Intanto, Be mine cammina senza fermarsi. Cammina nell'aria dopo aver camminato dentro la testa da prima che gli occhi squarciassero la luce. Cammina insieme ad alcune di quelle facce riviste in sogno, ad alcune di quelle che probabilmente si rivedranno e risentiranno nell'arco della giornata. E cammina anche insieme a quelle che non si vedono poi da così tanto, ma che si avvertono in maniera diversa; ed è un avvertire che produce rabbia e malinconia. Due sentimenti che non vanno molto d'accordo. Ma che, per forza di cose, si ritrovano a convivere.
Le 10 del mattino. Lunedì. Ottobre. Uno scritto che, nemmeno per sbaglio, riferisce in prima persona. E non è poi così male. Esserci e non esserci allo stesso tempo.


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posted by buИCiA at 10:07 | Permalink | 8 comments
venerdì 3 ottobre 2008
Qui Mina potrebbe sembrare. In realtà non l'è. E' solo pensare
Parole parole parole parole parole parole parole e ancora parole. Soltanto parole. Parole dette. Parole pensate. Parole pensate e poi dette. Parole pensate e lasciate lì dove sono state create. Parole non dette che si vorrebbero dire. Parole non dette che mai si potrebbero far fuoriuscire. Parole senza talento. Parole di cui m'accontento. Parole timide costrette a spogliarsi. Parole vestite a festa. O parole vestite a testa? Parole che rimangono qui. Parole che arrivano fin lì. Parole senza alcuna rima. Parole baciate, come la tua bocca tanti giorni prima. Parole di vento che scappano via. Parole di plastica e polpastrelli. Parole ma non della mente mia. Parole e materia che un giorno vorrei collegare. Parole che solo di altri qui mi fan stare. Parole parole parole parole parole parole parole parole. Sempre parole. Parole parlate. Parole amate solo se silenti in verbo scritto le capriole fate.


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posted by buИCiA at 22:01 | Permalink | 3 comments