i miei pensieri, nell'etere
domenica 30 novembre 2008
Notturno romanzato
Aveva trascorso un sabato claurtrofobico. O forse era stata solo la sensazione a farglielo avvertire come tale. Era uscita controvoglia, ad un certo punto, solo per respirare un po'd'aria; e, sì, forse anche un po' di quella pioggia che rovinava le cose, quando doveva uscire. Aveva pensato che le condizioni metereologiche avverse avevano un loro fascino, ma quando le si stava a guardare da dietro la finestra, nel caldo ovattato della propria abitazione. In situazioni differenti da quella, invece, non facevano altro che peggiorare il suo labile umore.
Più tardi, nella serata, si mise a lavare i piatti che era già quasi ora di uscire, nuovamente. Valutando che l'avverbio - qui usato per definire il ripetersi di un moto da luogo - si riferiva, in effetti, anche alla ripetuta non volontà di andare, tramutata in qualcosa di potenzialmente positivo, semplicemente per fare un dispetto alla volontà di restare. Così terminò di asciugare il lavello quando, in realtà, sarebbe già stata ora di passare dal dentro al fuori, ma se la prese con calma; con molta calma.
Fuori di lì, convenne definitivamente con i pensieri effettuati da qualche giorno a quella parte, quando progettava di comprare un paio di stivali nuovi, e la convenzione arrivò nel momento esatto in cui, in seguito al passaggio su di una pozzanghera d'acqua mista a neve, sentì che il piede sinistro non era più lo stesso. Un po' più umido, e forse proprio un po' più bagnato. Ma, non volendo darla vinta al peggioramento del cattivo umore, si autoconvinse che si trattava solo di umidità, e cercò di non pensarci più.
Propose di andare in un locale tranquillo, dove avrebbe potuto prendere un the caldo, non avendo l'intenzione di ingurgitare null'altro. E con, non immenso, ma almeno sufficiente dispiacere, sì pentì un po' di quella proposta quando, una volta giunta lì insieme al resto della compagnia, ricevette la comunicazione, da parte di uno dei camerieri, che l'orario di chiusura era previsto per la mezzanotte. Niente male, considerando che il suo e gli altrui di dietro si erano accomodati su quelle sedie alle 23,30 passate...
Dopo meno di un'ora si ritrovò lì, da dove, per certi versi, non sarebbe voluta andar via. Infilò il pigiama e si coprì con altre due coperte. Avvertiva un freddo pungente, di quelli che suggeriscono di trovare una posizione e di non cambiarla, se non si vuole rischiare di essere punti ancor di più; avvertiva così tanto freddo da pensarci più e più volte, prima di convincersi ad alzarsi ed andare in bagno; temeva gli spostamenti d'aria.
Passò al computer un po' d'ore, ringraziando chi, da qualche altra parte, aspettando una telefonata dal Messico, rimase sveglio a sua volta, intrattenendola in chat. L'avere le mani occupate sulla tastiera la distraeva un po' dalla paura. Paura di non si sa bene cosa, ma pur sempre paura. Forse era solo paura di avere paura, e fu quando lo razionalizzò che sentì calare un po' di tensione, e ci pensò meno; sempre meno. La mente umana è strana, a volte crea anche quello che non esiste, complicando ulteriormente la vita. Lo aveva sempre pensato.
Verso le quattro del mattino la stanchezza cominciò a bussare alla porta delle sue palpebre, così fece che salutare il suo compagno di avventure internautiche, spense il computer, e si accucciò sotto le coperte, con la televisione ancora accesa su qualche sconosciuto programma notturno. Di tanto in tanto il suo cervello le impose di svegliarsi, per sicurezza, ma poi il sonno ebbe la meglio, su tutto, anche sul senso d'allerta. Non sentì nemmeno più il freddo.
E fu così che avvenne il passaggio dal sabato alla domenica.




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venerdì 28 novembre 2008
Gilda likes "zampettare" in the snow
 
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mercoledì 26 novembre 2008
Thoughts jam
Sole e vento scossi freddamente. Scie di pensieri e di silenzi. Sono sempre silenzi e mai voce. Le valigie dentro lo sgabuzzino dormono da tempo; dormono per la maggior parte del loro tempo. E del mio. Mentre la speme è quella di andare. Partire. Immaginano, e immagino, viaggi in treno senza mete precise. Gli orologi e la pecunia limitano la maggior parte delle volontà umane. Ed io non ho risorse, perché l'impegno immesso non è abbastanza. Commiserazione cercata. Commiserazione voluta, forse. In quanto sicura. Sgradevole, ma certa. Da lì non si scappa. Lì si rimane. E' l'unica soluzione, oltre a quella dell'insoddisfazione.
Leggo e scrivo, ma non abbastanza, non quanto vorrei, non quello che vorrei; quasi mai. Incontri casuali, e non troppo, allietano brevi momenti; come gli sguardi scambiati tra sconosciuti guidatori nelle gare del traffico serale. Ingranaggi automobilistici che portano altrove, ma mai abbastanza lontano.
Si va da qualche parte. O almeno ci si prova. In realtà, viaggiamo inconsapevolmente all'interno di una trappola. La realtà è una trappola. Si va. Ma poi si torna. Più o meno felicemente. Qua.

Vorrei avere più tempo. Il tempo è una questione irrisolvibile.

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sabato 22 novembre 2008
A volte ci sarebbe solo bisogno di un muro


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giovedì 20 novembre 2008
Shhhhhhh...
Non è che ci sia molto da dire. Tutto questo gran dire non c'è, in realtà. Perché non è che le persone stiano sempre lì, a parlare, a far uscire dalle loro bocche le parole. A volte stanno in silenzio. A volte amano stare in silenzio. A volte usano le proprie bocche per fare altro. E lo stesso vale per occhi, naso, orecchie, mani, braccia, cervello, cuore, tutto. Vale per tutto. A volte tutto sta lì, ma fermo, concentrato a fare altro.
E non deve essere chissà cos'altro. E' semplicemente stare lì. E' compresenza. La gente si stupisce, forse, di questo; del fatto che, a volte, la sola compresenza possa bastare. Prima di qualsiasi altra cosa, c'è quella. C'è lo stare lì. C'è il godere di quello stare, apprezzandolo perché prima di allora lo stare non era ancora; e poco dopo, purtroppo, non lo sarà più, almeno per un po'. Così loro se ne stavano lì, senza dire niente. Solo molto vicini l'uno all'altra, così vicini da attraversarsi reciprocamente lo sguardo e arrivare oltre, se solo la loro volontà non avesse voluto fermare l'attenzione esattamente lì, dove stava l'anima dell'altro. 
E non è che ci sia molto più da dire.



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Da qualche parte, in mezzo alla nebbia
Una giornata come le altre. Oggi sarà una giornata come le altre. Forse un po' più, o forse un po' meno; ma non si differenzierà di molto. Un po' meno attesa, un po' più rassegnazione... ma la differenza non sarà colossale.

Esci presto di casa per tornarci prima ancora che tu te ne possa accorgere. Fuori ti ritrovi nel mezzo di una nebbia densa e torbida. Sembra un'ambientazione dylandoghiana, e invece è solo questa città. E' solo lei. Le chiedi scusa, per non rispettarla più come una volta, ma non ci puoi far nulla se la rassicurazione che offre è amabile e detestabile allo stesso tempo.
Ti procuri una brioches e fai ritorno con l'intenzione di accompagnarla ad una di quelle bustine di tisane che qualche giorno fa hai rubato all'interno di un bar. Due euro per dell'acqua calda ti erano sembrati davvero esagertati; al supermercato con due euro ti compri una confezione intera, di quelle bustine. Il senso di colpa non si è fatto nemmeno vedere, quindi, quando ne hai prese un paio e le hai infilate in borsa.
Metti a bollire l'acqua e annusi l'intruglio di erbe e the verde. Sai già che non ti piacerà come il tuo English Breakfast Tea, ma il furto vale almeno l'assaggio. Poco dopo dai credito a quella che fino a quel momento era solo una teoria. Qualche sorso di quella che sarebbe stata una cosa da bere prima di andare a dormire, anziché dopo un'ora che si è in piedi, e l'abbandoni. La tieni tra le mani, un po', sperando che, se non scalda dentro, almeno scalderà un po' di fuori.
La nebbia è rimasta all'esterno, eppure com'è che sembra essere presente anche qui? Forse è il freddo. Forse è colpa del freddo. Quel post shower chill che è rimasto, dopo che hai infilato l'accappatoio, tirandoti fuori dalla vasca.
Pensi che sia un peccato non poter fare a meno di pensare, perché sospenderesti volentieri qualche interrogativo e qualche supposizione. Ed ora, in questa giornata non molto differente dalle altre, non farai granché. Se non, appunto, pensare. E non sai se vorresti che fosse proprio fisicamente. O geograficamente. Ma di sicuro hai la certezza. Che, almeno mentalmente, vorresti esserlo. Solo. Un po' più. Distante.




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martedì 18 novembre 2008
Gilda likes vanilla jogurt
 
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domenica 16 novembre 2008
Trovami un motivo
"Non devi essere triste".
"No?!"
"No".
"Oggi è domenica. La domenica è triste. Trovami un motivo per ridere".

"Eh, faccio fatica a trovarne uno anche per me. Però... domani è lunedì! Comincia una settimana nuova...".
"Sì. Domani è lunedì".

Comincia una settimana nuova. Forse.


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venerdì 14 novembre 2008
Io lo definirei così
Dicesi amore platonico di quell'amore etereo, che non si consuma; che solo l'immaginazione sazia.
Dicesi di quell'amore impalpabile che proprio in quanto tale rimane la migliore definizione di amore: quello puro, quello che mai muore, perché mai ha avuto modo di iniziare.
Dicesi di quell'amore che durerà in eterno, perché la realtà delle cose non giungerà a modificarlo con la sua materia.
Dicesi amore platonico di quell'amore che non ha necessità di concretizzarsi, in quanto la sua realizzazione non si ha, e proprio per tale ragione si ha ovunque. Anche su questa pagina, per mezzo di questa matita. Anche sui muri della città e delle periferie; anche solo nella testa.
Dicesi amore platonico di quell'amore che, non trovando mai pace, arde e brucia, ora, come fosse la prima ora.
Dicesi di quell'amore che è fine a se stesso e che vive solo di questo. Come lo stomaco quando digerisce se stesso, poichè in esso non è entrato alcun cibo che possa essere disciolto.
Dicesi amore platonico. Non potendosi fare, si dice.


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giovedì 13 novembre 2008
E, dopo la pioggia, tra le nuvole, il sole
L'autunno sa essere stupendo, a volte. Basta sapersi guardare intorno. Guardare con le orecchie e ascoltare con lo sguardo.
La prossima volta che si capita al Valentino la macchina fotografica è d'obbligo. Per immortalare gli innamorati, di qualsiasi età, sulle panchine. E per fotografare i colori. In bianco e nero.



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mercoledì 12 novembre 2008
Bisogna saperlo prendere al volo
Avevo una cosa da scrivere. Ma poi il momento è passato...
E quando il momento passa, si può anche provare a rimediare. Ma non sarà mai lo stesso. Dell'averlo colto.



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Jewel box
chissà dove sei con chi sei di cosa parli come lo dici che vestiti hai a che ora vai a dormire a che ora ti svegli come ti svegli come dormi qual è la prima cosa che dici quando ti svegli cosa ti piace mangiare a colazione cosa fumi quanto fumi fai la doccia fai il bagno nella vasca che profumo hai che odore hai leggi il giornale leggi libri che musica ascolti che sport fai che squadra tifi che film preferisci sai cucinare cosa cucini cosa ti piace che ti cucinino ti piace il mare ti piace la montagna ti piace il lago ti piace l'oceano ti piace londra dove sei stato dove vuoi andare quand'è il tuo compleanno qual è il tuo colore preferito come ridi che suono ha la tua risata ti piace cantare sai cantare canti sotto la doccia canti dentro la vasca mentre fai il bagno ti piace questa canzone di jeff buckley che dopobarba usi lametta o rasoio elettrico come ti pettini i capelli hai cani hai gatti hai canarini o pesci rossi hai fratelli e/o sorelle il tuo colore preferito che macchina hai che macchina vorresti quando esci cosa ordini da bere domani cosa farai cosa farai alzerai lo sguardo e cosa vedrai?



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lunedì 10 novembre 2008
Gilda likes strawberry yogurt
 
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domenica 9 novembre 2008
Where?!
Certe canzoni ti prendono. Senza chiederti il permesso. E ti fanno loro più di quanto tu possa dire di averle fatte tue. Così, senza motivo. E' una questione di scelte. A volte sono le canzoni. Che scelgono. Te.


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venerdì 7 novembre 2008
* Non si muore tutte le mattine
Ma si dovrebbe. Si dovrebbe, eccome. Si dovrebbe morire ogni mattina. Tutte le mattine. Per poi rinascere. Di notte. Di pomeriggio. Al tramonto. All'alba delle stelle. Quando si vuole. Quando ognuno vuole. Per buttare via la vita del giorno prima e per ricominciarne una nuova. Fino alla soddisfazione. Fino all'esaurimento. Fino a che non c'è nemmeno più la possibilità, quella possibilità; la possibilità di morire e poi di rinascere. Ancora, ancora, ancora, di nuovo; e poi ancora. Come quando ti servono le fototessere ed entri in uno di quei bugigattoli apposta che trovi in stazione o nei centri commerciali. Quei bugigattoli dove puoi fare le fototessere, e di queste ultime puoi scegliere il formato, il bianco&nero o il colore; puoi anche scegliere di rifarle un tot di volte, fino a che l'immagine di te stesso che compare sul monitor non ti soddisfa. Ma non puoi rifarle all'infinito; non puoi effettivamente ripetere il click fino alla soddisfazione. Perché dopo tre o quattro scatti la tua immagine non compare nemmeno più, su quel monitor. E non puoi far altro che uscire dal bugigattolo e aspettare che escano le fototessere, che ritraggono te in qualche posa, una qualche posa, che forse può anche quasi soddisfarti, la posa in cui esci; ma mai totalmente. La soddisfazione piena, quando non sei stato tu a scegliere il click giusto, non arriva mai; non c'è mai. Può esserci quasi, ma non sarà mai totale. E' una soddisfazione parziale. E' una soddisfazione di cui ti devi accontentare. Perché non l'hai scelta tu. Non hai avuto la possibilità di schiacciare il pulsante mille volte, miliardi di volte, fantastiliardi di volte, fino a trovare un'immagine di te che fosse davvero l'immagine di te che vuoi imprimere con la stampa. Il sorriso che farai guardando le foto non sarà mai quel sorriso; mai.La vita dovrebbe essere una fototessera. Che puoi fare in digitale. E rifare. Quante volte vuoi. Dovrebbe essere una fototessera che muore e nasce con il solo premere del tuo dito su di un pulsante. E il tempo, fuori di lì, dovrebbe darti il tempo. Il tempo dovrebbe darti il tempo di scattare. Dovrebbe attuare una semisospensione per permetterti di scegliere. Il tempo potrebbe anche fartelo, questo favore.
Ed è così che ogni tanto mi sveglio di mattina (o di pomeriggio, o al tramonto, o all'alba delle stelle) sperando di essere appena nata, di avere pochi secondi, pochi minuti, 0 anni, insomma. Invece di secondi, di minuti e di anni ne ho sempre di più. Guardo fuori di lì sperando di trovare la semisospensione del tempo. E invece tutto continua a muoversi. Continua. Il tempo non mi concede il tempo.
Ed io so che è colpa mia, se l'immagine di me che rimane impressa dalla stampa non mi soddisfa. Lo so. Ma il fatto è che io non mi accontento di essere quasi soddisfatta. Continuo a schiacciare quel pulsante sperando che la prossima foto sarà migliore. E mi trovo ad un certo punto che di foto non ne posso più rifare, e sto lì ad aspettare. Che la stampa che esce sia di mio gradimento, almeno un po'.
Il fatto è che io non mi voglio accontentare. Il fatto è che vorrei essere io. A scegliere il click giusto.



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giovedì 6 novembre 2008
Il testimone
Sono scorse via velocemente. Più di quanto pensassi. Dalle 20 a questa parte. Via così. Erano una settantina. Volevo farle correre via per far loro passare il testimone alle prossime. Volevo farle correre via per la loro bellezza. Per sfamare la mia fame cerebrale. Ma la fame non coinvolge mai un organo solo. La fame serve per tener su l'intero corpo. Il corpo intero. Si dice che si è quello che si mangia. Io mangio libri. Cosa ne deriva?
Come sempre, mi è spiaciuto finirlo. Come potrebbe non spiacere? Ma il testimone passa di mano degnamente, sapendo che il prossimo giungerà alla meta in modo soddisfacente. Gli ho già dato un'occhiata mentre il corridore precedente era ancora in pista e lui, quello successivo, si stava ancora scaldando i muscoli. Tra poco il primo passerà il testimone al secondo, si sfioreranno le mani; il primo strizzerà l'occhio al secondo, che sorriderà e poi si concentrerà sulla sua corsa.
Il primo, Roberto. Il secondo, Vinicio. Potessi avere un decimo della chiarezza del primo e un decimo della poesia del secondo... Potessi...
Non so. Non riesco. A scrivere qualcosa di meglio, adesso.
Gli occhi, più stanchi della mani, trovano solo più il modo di farsi accarezzare da alcune frasi. Queste frasi.

Non ci sono amicizie più rapide di quelle che nascono tra persone che amano gli stessi libri (Irving Stone, sul segnalibro che ho comprato oggi).

... il mio cuore! E' morto mille volte almeno, il mio cuore. Ha vissuto addirittura morendo, covando la morte in sé, se l'è tenuta attaccata, ben stretta, senza distinguerla, ed è morto cento volte al giorno. E' la vita... ma è certo, non si muore tutte le mattine, si muore una volta sola (Vinicio Capossela, Non si muore tutte le mattine).


E comincio a dare la buonanotte.

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mercoledì 5 novembre 2008
E Obama fu. Anzi: e Obama è
Stamattina la mia sveglia suona alle 7,30. Schiaccio un pulsante a caso sul cellulare, sperando di aver schiacciato quello dello spegnimento. Mi sveglierò; chiaro che mi sveglierò. Ma il suono di questa sveglia è così odioso... che proprio non posso sopportare di ascoltarlo ancora.
Dopo sette minuti l'odiosissima sveglia risuona, convinta a darmi fastidio dal pulsante del repeat che avevo ovviamente schiacciato al posto di quello dello spegnimento. Convinta lei, mi convinco anche io. Mossa dalla curiosità di sapere, guizzo in piedi, anche se con un po' di rammarico per il letto, il caldo e la schiena di Gilda (che, premuta contro la mia, mi scaldava egregiamente) abbandonati.
La prima cosa che faccio, una volta scesa, è tirare su la tapparella del balcone in cucina. Rimango stupita, gurdando fuori: le nubi, qua è là, sono rotte dalla luce. Forse è il sole che arriva dall'America?!
Non resisto ancora molto, e per sapere mi basta sollevare il monitor del mio portatile. Barack Obama ha vinto. Barack Obama ha vinto! Sono contenta quasi come se venissi a sapere che Berlusconi ha perso le elezioni italiane (e il quasi, in questo caso, è d'obbligo). E' il primo presidente nero nella storia degli Stati Uniti d'America. Una bella soddisfazione.
Ho come l'impressione che questa notizia, oggi, farà da incipit per far filare tutto più liscio. Che poi il mio nervosismo comincia a dilaniarmi di lì a poco; ma quello non manca mai nelle mie giornate. Sarebbe stato peggio se il nervosismo fosse stato misto alla delusione della notizia opposta appresa di prima mattina, no?
Ed ora, prima di mettermi al lavoro, vado a godermi la notizia leggendone i particolari sul giornale. Vado a tastarla su carta. A volte la carta è necessaria. A volte il suo ruvido è indispensabile a dare conferma a ciò che si è sentito o visto altrove. Ora vado a leggere che Obama è.


E forse questo è proprio il sole che arriva dall'America.

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domenica 2 novembre 2008
3 candeline
Tanti auguri, piccina mia.



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