i miei pensieri, nell'etere
sabato 27 dicembre 2008
Esperimento di verità
Ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto scrivere una storia alla Paul Auster. Oddio, non proprio da sempre. Da un anno, però, sì. Da quando qualcuno mi lesse alcuni dei suoi racconti ad alta voce; a me e ad un'altra platea di aspiranti scrittori.
Ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto incontrare qualcuno facendo una delle cose che più mi piace fare, come mentre si sta gironzolando tra gli scaffali di una libreria in attesa di un libro da scegliere o di uno da cui essere scelti. Oddio, non poprio da sempre. Almeno da oggi pomeriggio, quando mi è successa una cosa che avrebbe potuto far accadere entrambi i desideri.
Me ne stavo tra i corridoi affollati di una libreria in centro. Non mi piacciono le librerie affollate, perché preferisco avere un po' di tranquilllità intorno, mentre me ne sto lì a guardar copertine e leggerne le quarte di; ma a Natale mi è stato regalato un buono da spendere in una specifica libreria del centro, che di sabato pomeriggio altro non può essere che affollata, e così, non vedendo l'ora di andare ad acquistare un po' di titoli, non ho saputo aspettare fino ad un giorno potenzialmente più tranquillo e mi sono buttata in mezzo alla calca.
Non ho idea di quanto tempo sia rimasta lì dentro prima che accadesse e dopo, forse un'eternità. E' incredibile quanto ci si possa perdere fermandosi a leggere solo le trame di quelli che saranno libri interi. Saltavo con gli occhi e talvolta anche con i polpastrelli da un libro all'altro, quando il mio sguardo è capitato sul profilo di un ragazzo. Non saprei dire se fosse un bel ragazzo o meno, so solo che il suo profilo mi ha colpito e non posso aggiungere altro, perché in tutto il tempo che sono stata lì, e che c'è stato lui, non mi è mai capitato di guardarlo di fronte. Però so dire che portava un paio di pantaloni arancioni, forse uno di quelli in velluto a costine (ma non potrei giurarci) e un paio di scarpe stile Camper. Ci siamo trovati di fianco l'uno all'altra come minimo tre volte. Devo ammettere che almeno in una di queste devo averlo fatto apposta, di trovarmi accanto a lui e di mettermi a guardare proprio i libri che stava guardando anche lui. Devo ammettere che almeno in una di queste volte devo aver sperato che anche lui mi avesse notato e che anche lui sperasse di trovarsi nuovamente vicino a me.
Di tanto in tanto ne ho perso la scia. Colpa della troppa gente presente nella libreria; colpa del suo saltarellare tra uno scaffale e l'altro, tra una sezione e l'altra. Colpa mia, che non avrei saputo riconoscerlo, se visto di fronte. Tenevo gli occhi bassi per poterlo identificare: notavo le sue scarpe e i suoi pantaloni arancioni; da quelli sì che riuscivo a ritrovarlo.
Eravamo lì, l'una accanto all'altra, quando ho preso un libro in mano ed ho iniziato a leggerne la trama; non che mi interessasse particolarmente, credo anche di averlo scelto quasi a caso, ma mi serviva un pretesto per poter stare esattamente lì dov'ero; esattamente lì dov'era lui. La prima riga, la seconda riga, la terza riga... sono andata avanti, perché non riuscivo a credere che quel libro parlasse proprio di noi. Proprio così, parlava di me e lui! Di un ragazzo e di una ragazza che si incontrano all'interno di una libreria e si seguono l'un l'altra, senza fiatare; senza che nessuno dei due parli. Senza sapere se, effettivamente, tra di loro ci sia un interesse reciproco o se la loro presenza lì sia solo frutto del caso. Ho pensato che doveva essere uno di queli libri cui ci si appassiona subito, del quale si vorrebbe conoscere immediatamente la fine, tanto lo si trova intigrante; ho anche pensato che la coincidenza era così assurda che non potevo uscire di lì senza averlo dentro un sacchetto. Devo aver pensato troppo, perché nel mentre - in tutto quel mentre - che la mia attenzione era stata focalizzata dal quel libro, il ragazzo dai pantaloni arancioni e dalle scarpe in stile Camper era sparito. Dissolto. Ho provato a cercarlo ancora in mezzo alla folla, ma non potevo riconoscerlo dal viso, non avendolo mai visto per intero. Ho provato a cercarlo tra le braghe e le scarpe della folla, ma niente. Doveva aver fatto la sua scelta, doveva averla pagata alla cassa e poi doveva essere uscito per proseguire altrove, esattamente come fanno tutti gli acquirenti. Così ho pensato che non mi rimaneva che fare altrettanto.
Ho preso il libro che parlava di noi, di me e di lui, l'ho pagato e me ne sono uscita da quella libreria con il mio sacchetto in mano. Probabilmente non mi capiterà più di incontrarlo. O se lo incontrerò nuovamente può darsi che non mi capiterà di riconoscerlo dal viso. Magari sarò in grado di riconoscerlo dalle scarpe e dai pantaloni, ma forse allora non me ne ricorderò nemmeno più.
Sono uscita da quella libreria con il mio sacchetto in mano. Sono arrivata alla macchina e ho tirato fuori le chiavi. Mentre salivo ho notato un ragazzo che se ne stava lì in piedi, nel parcheggio, forse a fumare una sigaretta. Ho notato che si è appuggiato ad un'auto. Ho notato che continuava a starsene lì. Ho notato che mi aveva notato. E continuava a rivolgere il suo sguardo verso di me, anche mentre io mi allontanavo da quel parcheggio in prima, e poi in seconda. Mentre proseguivo per altrove mi sono messa a pensare che, forse, quel ragazzo aveva sempre pensato di incontrare qualcuno standosene semplicemente in piedi sul suolo di un parcheggio. Ho pensato che, forse, andondemene via, avevo infranto il desiderio di quel qualcuno, come il qualcuno della libreria aveva infranto il mio andando via prima che io potessi accorgermene. Ho pensato che non mi importava più di tanto, perché nel mentre che lo pensavo ero già troppo lontana. E perché, sinceramente, non ho mai pensato che mi sarebbe piaciuto conoscere qualcuno semplicemente per la nostra compresenza sul suolo di un parcheggio.

Non so se quello che mi è successo oggi è degno di essere definito "storia". Non so nemmeno se avrebbe potuto far avverare i miei due desideri. A pensarci bene, non posso nemmeno affermare con certezza che sia una storia vera... Ma questa è una delle ultime cose di cui ci si debba preoccupare.
Nessuna storia è falsa finché una sola persona ci crede.


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posted by buИCiA at 21:02 | Permalink | 10 comments
venerdì 26 dicembre 2008
E altro ancora
Stavo pensando.
Di come certe canzoni, belle o brutte che siano, in qualsiasi momento le si riascolterà, per sempre ricorderanno altri momenti, e le sensazioni che li hanno accompagnati; belle o brutte che siano. [Questa, ad esempio, è una delle mie preferite e la ascolto sempre con piacere; ma è triste, quindi mi sa che ora passo avanti].
Che certe persone sono portate per l'eterna insoddisfazione, e quando finalmente ottengono ciò che tanto avevano bramato si ritrovano nella condizione di voler ritornare alla condizione precedente; c
'è sempre qualcosa che non basta [non basta mai].
Che siamo quasi nuovamente giunti alla fine di quest'anno [dell'ennesimo anno]. Forse è il caso di riflettere su potenziali buoni propositi. [Vorrei avere il tempo. Vorrei avere più tempo. Vorrei riuscire ad avere il tempo per stare più vicina alle persone che mi stanno a cuore. Vorrei riuscire ad avere il tempo per stare più vicina a me stessa. Vorrei essere meno sensibile. Perché a volte basterebbe anche solo sentire, anziché sentire
troppo].
Che passato dicembre ci sarà gennaio e, nonostante si dica che sia il mese più freddo, sembrerà che l'inverno starà per giungere al termine. Anche se, a volte, il gelo e il vento freddo sul volto non so
no affatto male. [Purché ci sia il sole. Purché passi il mio inverno].
Ai viaggi in treno, fatti in qualsiasi stagione. Ad alcuni viaggi in particolare. A quelli che da un po' non faccio. A quelli che mi piacerebbe fare. [Non è sempre necessario andare lontano per dare ad un percorso il nome viaggio. Non è sempre necessario arrivare per iniziare a viaggiare].
Che sicuramente ci sarebbero ancora tante cose da scrivere e che sicuramente erano altre o erano diverse quelle cui avevo pensato di voler dire quando avevo cominciato questi pensieri, giorni fa. Ma adesso affiorano queste. [Adesso è il tempo di queste qua. Il resto - forse
- un giorno verrà].



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posted by buИCiA at 18:01 | Permalink | 5 comments
sabato 20 dicembre 2008
Oggi, 247 post fa
Era il 20 dicembre del 2007. Alla fioca luce di una lampada da scrivania, in una camera da letto alquanto invernale, una ragazza stava lì, ferma davanti al monitor di un computer fisso che ormai non accende nemeno più, a pensare sul da farsi.
Aveva passato il pomeriggio - o il mattino, quella ragazza non se lo ricorda bene, adesso - a navigare in rete saltellando di blog in blog e cercando di capire come funzionasse quel curioso strumento internautico. Solo q
uattro lettere per indicare un intero mondo. Per indicare interi mondi di qualcuno. Per indicare interi mondi di infiniti qualcuno. Un posto dove, perché no?, nascondersi al mondo. O un posto dove rendersi il più possibile visibili ad esso. Un posto. Un post. Tanti post(i).
E così quella ragazza se ne stava lì, un po' indecisa e titubante sul da farsi. Aveva seguito le procedure per creare quei quattro margini virtuali dove avrebbe potuto scrivere. Che cosa strana, pensò, scrivere con la possibilità di essere letti da qualcuno altro da se stessi. Sembrava così strano... Arrivò al punto in cui si doveva indicare il
nome da dare, ai quei quattro margini. Non è sempre facile, dare un nome alle cose. Dal momento che si nomina, significa che quel qualcosa esiste. Le cose cambiano, quando si sa con quale nome poterle chiamare.
Che nome dare, dunque, a quella...
cosa? Boh? Bhu?! Bu... ncia. Buncia! Buncia buncia catabum buncia buncia catabum buncia buncia catabum buncia buuum... Proba
bilmente i pensieri hanno questo suono qui.
E così eccola lì, a scrivere timidamente le prime righe. Non ci avrebbe creduto nemmeno lei, che quei quattro margini sarebbero durati così tanto. Non ci avrebbe creduto. Che ci si sarebbe affezionata così tanto... Non avrebbe mai pensato di potersi sentire così a suo agio, all'interno di quattro lettere; all'interno di un blog. Il suo.
E' il 20 dicembre del 2008. E così eccola qui, quella ragazza. A festeggiare il suo primo compleblog. Un po' meno timida di 247 post fa. Sempre più a suo agio, almeno qui dentro. Almeno qui, quella ragazza si può sentire come a casa. Questa è casa sua. Questo è il suo blog.
Questa è casa mia.



(Grazie a Bleek per la vignetta-regalo!)

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giovedì 18 dicembre 2008
Potresti essere tu#2
Sono giorni che non hai nemmeno più un giorno di riposo. E sai che per altri giorni non l'avrai. Vai a dormire di sera che non te ne accorgi nemmeno, di addormentarti. E ti svegli al mattino che ti sembra di non aver mai dato riposo al cervello, ai pensieri, ai guai. Ti alzi a fatica. Ti lavi a fatica. Ti vesti a fatica. Con fatica tirerai fuori la macchina dal garage e ti avvierai dove ti devi avviare. Dopo una lauta colazione fatta al bar ti sentirai un po' meglio, e forse ti chiederai da dove ti è arrivata tutta quella fame, visto che, ultimamente, lo stomaco ti si chiude spesso, a intermittenza. Pensi che forse si tratta di fame nervosa e che vuoi andare a riempire un vuoto per compensare il mancato riempimento di altri vuoti. Ma poi pensi che non fa mai bene pensare tanto, e così smetti di farlo. Vai a lavorare e cerchi di essere il più disinvolto possibile. Dopo un po' ti lasci trascinare dall'impegno e dall'energia che richiede il mestiere odierno, e non ti pesa nemmeno tanto. Nella pausa pranzo mangi un pezzo di focaccia, divorandolo. Ti viene anche voglia di patatine, così entri in uno di quei posti dove fanno le pizze di plastica e chiedi una vaschetta delle di cui sopra Il ragazzo che hai davanti ti riempie la famigerata vaschetta direttamente con le mani, nude, dopo averle messe chissà dove. Per qualche istante pensi anche di scappare, in preda allo schifo, ma poi il ragazzo mette le patatine nella friggitrice, si gira, e capisci di non avere più via di scampo. Speri che la cottura elimini un po' di batteri e che il gusto sia gradevole. Ma non ci vuole molto a capire che in quel posto tutto è di plastica: la pizza, e ora sai con certezza che anche le patatine lo sono. L'unica cosa che avrebbe dovuto esserlo - un qualsiasi aggeggio utile a riempire di patatine in maniera igienica l'apposito contenitore - non lo è stato. E va beh, non si può avere tutto dalla vita; come al solito. Manca ancora una mezz'ora al termine della pausa pranzo. Così ti rechi in libreria e ti perdi a fantasticare tra i titoli e le copertine. Ad un certo punto noti un libricino, dietro ad altri, che avrebbe potuto benissimo passare inosservato, e invece così non è stato. Chissà perché. Forse è per via di quella teoria che ogni tanto tiri fuori; quella secondo la quale non sono le persone a scegliere i libri, ma i libri a scegliere le persone... Il titolo del libro è Il correttore di bozze. Lo trovi ironico, considerato che il mestiere odierno ha qualcosa di simile a quello di un correttore di bozze, dato che ha a che fare con la scrittura e con le altrui parole. Lo compri, considerandolo un piccolo regalo che ti concedi. E ti dispiacerà di non potergli dedicare subito la dovuta attenzione. Purtroppo, il dovere viene prima del piacere. Dopo un pomeriggio di mediazione tra la fatica fisica e mentale torni a casa, su di un autobus in cui non vi è nulla che non abbia un odore sgradevole e in cui non puoi fare a meno di notare, contro la tua volontà, che le persone sono fastidiosamente rumorose e logorroiche. Scendi dall'autobus e la prima parola che ti viene in mente è "finalmente", ma l'odore nauseafognabondo che ti arriva dritto nelle narici ti contraddice all'istante, e ti domandi come cazzo è che in questo quartiere non ti possa soddisfare nemmeno l'aria che respiri. Dentro le tue quattro mura non fai nemmeno in tempo a spogliarti che ti assale nuovamente la fame. Ingurgiti una quantità spropositata di baci di dama. Smetti per rispondere al telefono. Dall'altra parte ti chiedono cosa c'è che non va, e tu vorresti dirlo; lo vorresti proprio dire. Ma in cuor tuo sai di non potere, così tergiversi e porti il discorso proprio lì dove avresti voluto che rimanesse. Sfogarsi non è sempre una soluzione. Ti prendi un po' di tempo, prima di rimetterti al lavoro, perché il mestiere odierno richiede attenzione anche una volta finito l'orario ufficiale di lavoro. Ti prendi un po' di tempo, pur sentendoti in colpa, ma volevi proprio dedicare una manciata di minuti alla tua persona. Facendo una delle cose che ti piacciono. Magari leggere. Magari scrivere. Ma sai che più cercherai di appagarti col piacere e più farai fatica ad assolvere al dovere. Così ti rassegni. La prima parolea che ti viene in mente è "vomitare". E inizi già a pensare a quando potrai coricarti, al caldo e al comodo. Ma nemmeno in quel momento saprai se desiderare che il domani arrivi in fretta, per poter porre un'altra tacca sul muro, o se sperare che arrivi il più tardi possibile.


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posted by buИCiA at 19:34 | Permalink | 10 comments
giovedì 11 dicembre 2008
Questione di armonia
Si diceva, con qualcuno, da qualche parte, di come sia l’amore ad armonizzare il mondo. Di come lo si cerchi, e lo si cerchi, e lo si cerchi, e lo si cerchi, ancora. Ma non lo si trova.
O lo si trova. Nelle persone sbagliate.
O lo si trova. Nelle persone impossibili. In quelle irraggiungibili.
L’amore è un cane che si morde la coda. Continua a girare intorno a se stesso, e sono rare le volte in cui riesce a prendersi. Quando, infine, ce la fa, rimane lì a mordicchiarsi per un po’, finché non si lascia andare. Per poi ricominciare a girare per l’ennesima volta. E chissà quando riuscirà nuovamente a mettersi la propria coda in bocca.
Si pensava, in solitudine, qui, di come sia l’amore a negare spudoratamente la ragione. Di come disarmi totalmente da qualsiasi considerazione logica.
O si può provare a ragionare. Ma è una partita persa.
O si può provare a ragionare. Ma non è con la logica che ci si innamora. O ci si affeziona.
Chissà perché non hanno messo il cervello lì dove sta il cuore e il cuore lì dove sta il cervello? Forse sarebbe stato meno anatomico. Ma, di sicuro, più armonico.


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posted by buИCiA at 14:19 | Permalink | 18 comments
mercoledì 10 dicembre 2008
A volte serve uno stimolo
Perché non sempre si riesce a trovarlo da soli. Perché a volte serve qualcosa che tiri un po' su... Perché a volte serve qualcuno che ci aiuti a tirarci su. Così oggi Fra mi ha proposto un "esercizio". Mi ha fornito l'incipit di qualcosa e mi ha detto: continua tu; buttaci una storia dentro. E così eccolo qua, il mio stimolo. Mi ha aiutato a passare un po' meglio il pomeriggio; mi ha aiutato a passarlo. Il pezzo in rosso è l'incipit di Fra. Il resto è opera mia.
Et voilà.


Le giornate del cazzo hanno il sapore della neve. Io ho sempre detto che la neve aveva un buon sapore, a discapito di quanti dicessero che non sapesse di nulla. Per quello ho sempre pensato che le giornate del cazzo, alla fine, fossero per me quello che non erano per gli altri: il buon motivo per trovare un senso là dove sembrava non ce ne fosse.


Le giornate del cazzo hanno il sapore della neve. E non osate credere a quelli che dicono che la neve non ha sapore. Perché le cose sono due: o non hanno le papille gustative abbastanza sviluppate per poter esser in grado di coglierne il gusto, o non l’hanno mai assaggiata. Ma io mi domando: come si fa a non aver mai assaggiato la neve? E’ una delle prime cose che si dovrebbero fare da bambini. E’ una delle prime cose che si dovrebbero fare appena si ha acquisito un minimo di equilibrio necessario per poterci sguazzare dentro, alla neve. E’ una delle prime cose che si dovrebbero fare, per poi poterle rimpiangere da grandi, e magari per poterlo fare proprio in una di quelle giornate del cazzo.


Le giornate del cazzo hanno addosso il freddo della neve. Quel freddo bastardo, che non riesci a coprire nemmeno con due coperte addosso, nemmeno con il più caldo dei maglioni che hai nell’armadio; nemmeno con il migliore dei propositi. Io ho sempre detto che anche il freddo aveva un suo motivo d’essere, che non è inutile come si potrebbe pensare. Perché prima di arrivare all’intorpidimento, il freddo serve a mantenere svegli. Perché non ci si può addormentare se si sente freddo. Perché è lo stimolo a correre, quando tutto intorno sembra essere fermo e sembra volerti portare allo stesso stato, all’immobilità. C’è quell’attimo, quell’attimo prima di perdere la sensibilità alle dita dei piedi e poi delle mani, quello, quell’attimo è l’attimo cruciale: quello in cui puoi cambiare le cose. E puoi sperare di riuscire ad arrivare dentro, al caldo, prima che la circolazione sanguigna rallenti ancora, ancora un po’. O puoi cominciare a renderti conto che non hai la forza per correre e metterti in salvo. Ecco a cosa serve il freddo. A capire.


Le giornate del cazzo hanno il freddo della mancanza. Quella mancanza assurda che senti delle persone quando non le hai vicine, o non le hai vicine abbastanza. Quella percezione di assenza che è talmente forte da farti cadere ogni difesa e da fartene fregare se sembrerai debole quando pronuncerai un paio di parole. Mi manchi. E’ una delle cose più semplici da dire, e così difficile, eppure. Perché se dico che mi manchi significa che avverto la tua assenza, che non ci sei, o non ci sei abbastanza. E la consapevolezza non sempre è una virtù. Dio, beata ignoranza.


Le giornate del cazzo hanno il grigio dell’oscurità. Di quel buio che fuori non è ancora arrivato, ma l’essere del quale è una certezza. Hanno il grigio di quell’oscurità che è già all’interno di questa stanza, nonostante la luce accesa e i vetri sui muri che si affacciano di fuori. E’ il grigio di quando tutto è buio e si ha paura di quello che non si vede, di quello che non si riesce a vedere. E allora si tengono gli occhi spalancati, sperando nel senso dell’istinto e del tatto. Continua ad essere tutto buio, ma dopo un po’ gli occhi si abituano a vedere. Ti accorgi che forse quello che non c’è, o quello che sembra non esserci, non fa più così paura. Forse, riesci anche a muoverti, in quel buio. Basta essere previdenti. Basta mettere le mani avanti.


Le giornate del cazzo hanno l’odore della neve. Io ho sempre detto che la neve aveva un buon odore, a discapito di quanti dicessero che non profumasse di nulla. E non osate credere a chi sostiene questo, a chi non ha olfatto abbastanza fine da poterne respirare la fragranza o da chi non abbia mai provato a farlo. Nonostante tutto, io ho sempre pensato che le giornate del cazzo, alla fine, fossero per me quello che non erano per gli altri. Un sapore. Una sensazione. Una presa di coscienza. Una tonalità. Un’estensione del tessuto dei polmoni. Anche una cosa qualsiasi. Perché non è detto che non si possa trovare un senso in una cosa qualsiasi. Non è detto che non lo si possa trovare anche in un giorno del cazzo. Non osate credere in chi dice il contrario.





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posted by buИCiA at 22:57 | Permalink | 3 comments
martedì 9 dicembre 2008
Ho ritrovato una canzone
A volte le cose vanno perse. Materialmente, o solo per la mancata coscienza che si aveva di esse. Succede così per le canzoni. Un istante le si ha in testa di continuo. E infiniti istanti dopo non le si ricorda più.
Poi, per chissà quali congiunzioni astrali, ritornano in mente. Un lampo. Uno zampillo. Qualche parola del testo. Ed ecco che ritornano. Proprio lì, dove erano andate perse.




... 'cause it's always raining in my head...

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posted by buИCiA at 20:15 | Permalink | 3 comments
sabato 6 dicembre 2008
Sulle labbra era il sapore
No. Fu colpa di un no.
Se lei rimase chiusa in casa, senza nemmeno la volontà di alzarsi in piedi e allungare le dita verso l'interruttore.
Se lui continuò a vagare in auto senza meta, ma nemmeno senza un tragitto preciso; di sicuro non lo si poteva definire viaggio.
Fu colpa di un no, tutto questo.
Se Miss I rimase accovacciata a terra, stretta accanto al termosifone, unica fonte di calore, adesso.
Se Mr U abbassò il finestrino per far fuoriuscire il fumo danzante da una sigaretta all'altra.
Solo colpa di un no. L'amore è di una semplicità così complessa, a volte...
Rimase lì sulle labbra, il sapore di quel no. E tutti e due presero a mordersele contemporaneamente. Assaporandone il retrogusto amaro e blu.
Lo fecero allo stesso tempo. Ma non nello stesso luogo.



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giovedì 4 dicembre 2008
Oggi credo
Credo che le strategie non servano a niente. Potendola dire un po' più a modo mio, credo che le strategie non servano a un cazzo. Forse solo in guerra. O in Risiko. Solo lì, forse.
Credo che nemmeno la gelosia serva a molto. E credo che non serva in generale. Nell'amore, come nell'amicizia, come negli affetti, tutti. Fa solo arrovellare il fegato un po' di più. Un pochino di più.

Credo che i cambiamenti avvengano quando non sono richiesti e credo che continui a non succedere nulla quando in realtà si vorrebbe una rivoluzione.

Credo che ogni tanto faccia bene smettere di insistere. Credo che le suppliche siano indecenti. Credo che non ci si debba aspettare niente, per evitare delusioni.
Credo che, per qu
anto possibile, occorra razionalizzare. Ma anche no. Credo a volte non ci siano spiegazioni plausibili. E che non sia proprio il caso di andarle a cercare. 
Credo che le persone dovrebbero mostrarsi per ogni singolo lato del loro carattere; per ciascuno. Sarebbe un buon modo per evitare l'effetto sorpresa quando emerge qualcosa che era rimasto nascosto sotto qualcos'altro... Ed era rimasto solo lì, solo un po' più in fondo e un po' più in ombra. C'era sempre stato ma nessuno lo aveva visto. E nessuno si prende la responsabilità di ammettere che non aveva osservato bene.
Credo che la perfezione, per fortuna, non esista. E che coloro che mirano ad essa sbagliano ad imporla come meta. Non tanto per le false aspettative create nei propri riguardi, quanto per l'altrui abitudine che si va ad alimentare
.
Credo di non poter affermare con assoluta certezza di credere in Dio. E credo di non poter affermare con assoluta certezza di non crederci. Credo di avere un po' di speranza, però. Questo sì.
Credo di credere in tante cose. E credo che alcune di esse ne annullino altre in cui credo di credere.
Credo che tutto questo non abbia molta importanza.
Credo di aver scritto delle cose che sembrano altro da quello che vogliono essere. Credo nella libertà d'interpretazione.

Credo nei buoni auspici indotti dalla buonanotte. Ed è per questo che credo che non andrò a dormire, senza aver trovato almeno una canzone, una buona canzone, che me li infonda.
Credo che ognuno dovrebbe avere la sua buonanotte.

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posted by buИCiA at 11:59 | Permalink | 10 comments
martedì 2 dicembre 2008
Time
20.39
Non passa un cazzo. In televisione lo zapping fa avanti e indietro tra un video un
pop porno su All Music e un telefilm anni '90 su Mtv. Le letture di poco fa sembravano essere durate di più; molto di più. Che delusione quando un'occhiata all'orologio sul display del videoregistratore ha reso palese una triste verità cronologica: nemmeno le 21. Ma quando arriva domani?
20.42
Il telecomando è un po' troppo distante. Sull'altro divano, per la precisione. Se lo scazzo non fosse così alto da permettere di correggere il caffè con la Via Lattea, si potrebbe anche alzare il culo e fare il tentativo di bruciare quelle 0,0000000000000000000001 calorie per giungere fino a lì. Ma la serata è proprio una di quelle no; oltre al pessimismo cosmico, ci si mette pure il masochismo musicale: una bionda di cui non si riesce a ricordare il nome rende ancora più deprimente il momento. Fortuna che dopo poco arrivano i Casino Royale a movimentare la situazione. Ma niente. Niente riuscirà a rendere migliore solo ciò che un nuovo giorno potrebbe almeno tentare di fare. Ecco, il video dei Casino si chiama
Cosmic sound... Si può sempre trovare un perché.
20.49
Forse sarebbe il caso di tornare sulle sudate carte. Sarebbe di sicuro un modo di far passare il tempo. Ma è tutto così deprimente...! Tutto. Così. Deprimente.
20.50
Non succede un cazzo.
20.50 e qualche secondo.
La mail segnala un messaggio da leggere. Nulla di interessante, però. Non una bella mail chilometrica da leggere cui potrebbe seguire una bella mail chilometrica come risposta. Nulla. Una. Delle solite. Cazzo. Di notifiche. Di
facebook. Cazzo.
20.52
La sete richiede di alzarsi, per forza.
Ce la faranno i nostri eroi ad approfittare della'occasione per prendere in mano il telecomando e cambiare finalmente questa lagna?! Lo scopriremo alla prossima riga.
20.56
Eh, quante cose sono state fatte in pochi minuti! Acqua,
toilette, acqua, telecomando... telecomando?!? Oooooh, yes. Quindi, siori e siore, si cambia. Si chiede cortesemente scusa a Dido per la schiacciata di tasto in faccia, ma stasera non va bene nemmeno lei. Ma naaaaaaah, nemmeno questo è servito. La televisone non concede soddisfazione a chi non possiede Sky (cazzo).
20.59
...
21.00
...
21 e qualche secondo
Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!!



21.11
Continua a non succedere un cazzo.


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