Il modo migliore per terminare le cose è non prendere consapevolezza del fatto che stiano per finire, del fatto che ci sia un addio in corso; del fatto che sia proprio l'ultima volta.
E' come d'estate, quando mangio l'ultima volta l'anguria o faccio per l'ultima volta il bagno in piscina o al mare. Ma non lo so che è l'ultima volta. Penso che di sicuro ce ne sarà almeno un'altra. Così lo faccio e basta, senza pensare. E poi arriva il momento in cui capisco che un'ultima ufficiale volta in cui ho mangiato l'anguria o fatto il bagno non c'è stata, e mi tocca aspettare l'estate successiva per godermi quei momenti. E allora penso: cacchio, avrei potuto pensarci, che quelle erano le ultime volte.
Ma alla fine è meglio così; è meglio se non si sa. Se non lo si sa, la malinconia non arriva a fregarti.
Oggi è finita una cosa. Oggi è finito un anno di lavoro. Un anno in cui mi sono spesso annoiata e spesso sono rimasta insoddisfatta dal tipo di mansioni che mi toccava svolgere; un anno in cui a volte ho pensato anche di mollare e di cercare qualcos'altro... Un anno in cui, però, ho conosciuto delle belle persone; un anno in cui sono stata a stretto contatto con loro (nel vero senso della parola, dato che eravamo in tre sulla stessa scrivania!); un anno in cui si sono condivise delle cose, dei discorsi, delle risate - tante risate. Un anno.
Un anno, cazzo. Può sembrare tanto, può sembrare poco... A me oggi è sembrato un giorno solo; solo un giorno.
E poi, a metà mattina, arriva il responsabile ad invitare me e la mia collega a seguirlo. E troviamo lì la maggior parte dei dipendenti, che ci accolgono intorno ad un tavolo con un vassoio pieno di focaccine ed uno pieno di bicchierini di caffè. E ci portano un mazzo di fiori a testa; un bellissimo e profumatissimo mazzo di fiori.
Un'informale quanto gradito discorso di ringraziamento e poi, più tardi, un pranzo. Tra pochi intimi; i migliori, però.
Ritorniamo indietro, ed è per andare a prendere il mazzo di fiori e la cartellina che ho sempre tenuto lì, che reca il mio nome e che contiene un po' di cose mie; non mi serviranno più, ma credo che mi farà piacere dar loro un'occhiata, di tanto in tanto.
Così, mentre i "pochi intimi" sono in un altro ufficio, io entro in quello che per un anno e fino ad oggi è stato (anche) il mio. Lo guardo; lo guardo bene. Mi siedo sulla sedia rossa, la mia sedia. Dico uno stupido "Ciao ufficio" mentre nessuno può sentirmi. Esco, e ritorno dagli altri.
Mi siedo e mi alzo più volte. Si chiacchiera e sembra che il momento di andare via non debba arrivare; che non lo si voglia fare arrivare. E poi arriva anche quello. Ed è così strano. Non è triste. Non è felice. Un po' malinconico, questo sicuramente sì. Ma nessun aggettivo più di "strano" potrebbe descrivere al meglio questo istante.
Verso casa, guido piano. In macchina, alla radio, non trovo nessuna canzone che sia in sintonia con il mio umore. La troverò dopo, a casa. Con il silenzio, prima; e poi con i R.E.M., che ultimamente sanno farmi compagnia più e meglio di chiunque alto.
Non voglio renderla troppo melodrammatica; no, non voglio affatto che sia così. Voglio solo ricordare questa cosa, di cui ora ho piena consapevolezza. E ciò potrebbe anche non essere un bene. Ma oggi voglio che lo sia. Oggi finisce consapevolmente un anno. E probabilmente non è il caso di aggiungere altro.
Domani e dopodomani tornerò nello stesso posto, ma sarà per altro e in maniera diversa. Sarà soprattutto diverso. Così, quello che è stato fino ad oggi, lo fisso qui. E lo fisso con dei bellissimi colori e con un ottimo profumo.
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