Tornare a Torino dopo un mese, nel giorno in cui l'ultimo diventa il primo.
Trovarla cambiata. A cominciare dalla stazione. E rimanere come in estasi ai suoi piedi. Con il naso all'insù, come farebbe un bambino nell'osservarla per la prima volta.
Attraversarla cercando di fare attenzione a cogliere ogni minimo particolare; cercando di fare attenzione a respirarla il più possibile.
Starne a guardare le cose...
... e le persone.
Ammirarne i particolari, tutta la storia che c'è intorno. Tutta la storia di cui si fa parte, anche se per breve tempo. La storia di questi luoghi si costruisce anche col proprio sguardo. O, almeno, a me piace pensare che sia così.
Sentire di essere vivi. Magari non sempre e non ovunque. Ma alcune sensazioni sono inevitabili e fanno gustare più e meglio di altre la personificazione del verbo essere. Questo "essere qui e adesso" non sarà facile da dimenticare. Ma, d'altronde, nemmeno lo si vuole.
E poi le pile della macchina fotografica si scaricano. Mi ripropongo, un po' materialmente, per il nuovo anno, di comprarmi una di quelle digitali con le batterie al litio. Perché mi spiace di non poter più fotografare il resto. Non ho modo di fotografare il ritorno. Ma forse è meglio così. I ritorni sono spesso tristi. Ed ora che ci penso, tutto quello che mi serve è qui. Non serve nulla di più. Non serve altro.
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No, non serve altro. Hai detto tutto e hai documentato tutto. La foto Fiat del Lingotto, fra l'altro, è magistrale. E' un bene che le batterie si siano esaurite lì lasciando a noi intuire un resto ancora da scrivere ma già detto. Torino, ancora una volta, ti ringrazia.